“Un’antica leggenda giapponese racconta che, quando un vaso di porcellana si rompe, si possono ricomporre i cocci con l’oro, ottenendo un risultato ancora più bello del precedente. Per me è la testimonianza che si può sempre rinascere” – dal testo di Benedetta Fiori
Benedetta ha recentemente vinto la terza edizione del Concorso Letterario Sportivo organizzato dal circolo culturale Seregn de la Memoria. In ricordo di Giuseppe Baffa, uomo di sport, amico e socio fondatore dell’ente, il contest si rivolge a tutti gli studenti della Brianza.
Attualmente studentessa del quinto anno al liceo linguistico Marcello Candia, è riuscita ad aggiudicarsi il primo posto grazie ad una penna delicata e introspettiva ma allo stesso tempo impattante.
La decisione di iscriversi nasce da una mera casualità e grazie a tanta voglia di mettersi in gioco. Per Benedetta scrivere è puro piacere. «Per me scrivere è un’esigenza. Penso sia uno spreco buttare le esperienze vissute che sembrano fatte per essere raccontate. Scrivere è dare una forma di bellezza a quello che si vive, parte da un impulso, un’ispirazione che puoi decidere di accogliere per farne qualcosa».
Il suo racconto si basa infatti su alcune delle sue personali vicende il cui contenuto è di estrema ispirazione.
Il testo si presenta come il normalissimo diario di un’adolescente alle prese con le proprie battaglie. Grazie a nomi fittizi e fatti romanzati, Benedetta offre uno sguardo sulla sua vita attraverso la finestra dei suoi pensieri. «Parto sempre da dati di realtà. Se uno non fa esperienza di certe emozioni, non riesce a descriverle scrivendo».
Lo pseudonimo scelto per il concorso è Nubivaga (colei che trasvola le nubi). Fin da piccola viene descritta come una bimba con la testa fra le nuvole ma leggendo il racconto si scopre una mente perfettamente conscia dei propri sentimenti e di ciò che la circonda. Lei stessa afferma di aver scelto come forma narrativa quella del diario perché è il posto dove le persone possono scrivere le cose più vere. L’elaborato racchiude infatti quel viaggio così importante per noi adolescenti, dove finalmente riusciamo a liberarci dai demoni passati e accogliere il futuro.
La storia narra una parentesi, piccola ma fondamentale, nella vita di Lisa. Una nuotatrice provetta rinchiusa nella gabbia del proprio passato costruita con ricordi sofferenti. Ciò la limita, Lisa si preclude il futuro che la sta aspettando perché trattenuta dalle ombre di quanto accaduto. In questo senso la metafora de L’Elefante incatenato, di Jorge Bucay, può aiutarci a comprendere.
Un elefante, esibito in un circo, è abitualmente legato ad un paletto di legno conficcato nel suolo. Un bambino, nella sua innocenza, si chiede perché, nonostante la sua corporatura massiccia e possente, l’elefante non si liberi. Era chiaro che un minuscolo pezzo di legno non potesse trattenere un animale così imponente. Il bambino scopre, qualche tempo dopo, che qualcuno aveva risposto al suo quesito. L’elefante non si ribella perché, incatenato fin da piccolo, crede di non poterlo fare. La sua rimembranza, pervasa dall’impotenza sperimentata da cucciolo, lo spinge a non cimentarsi nuovamente nell’impresa. Non ha mai ritentato di mettere alla prova la sua forza.
Lisa vive questo. Grazie a figure fondamentali nella sua vita, riuscirà a liberarsi dal suo paletto di legno. Benedetta descrive infatti Cristina, allenatrice della ragazza, come un porto sicuro per la protagonista e un’ancora salda. Il racconto riporta: «credo che ognuno meriti di avere qualcuno nella sua vita il cui sguardo è capace di trapassare il corpo ed arrivare dritto all’anima, nel punto più inesplorato e confuso, che noi da soli non vorremmo fare uscire per paura».
Il racconto esplora temi essenziali dell’animo umano. Cela questioni crude al di sotto di una scrittura semplice e colloquiale. Rappresenta un elogio al passato senza il quale non può esserci quello per il futuro.
«Uno il passato non lo deve cancellare, altrimenti non impara niente. Quel passato ti definisce, è parte di chi sei ma deve essere un motore, sennò ti intrappola in una versione di te che non ti permette di crescere».
Le parole di Benedetta sono preziose e il suo racconto suggerisce come nella vita sia necessario rivolgere lo sguardo in tre direzioni. Dietro di noi, per ricordarci chi siamo, da dove veniamo e quale sia la nostra storia. Di fianco, per celebrare quotidianamente chi ci sta accanto e supporta il nostro viaggio. Infine in avanti, per non scordare che l’ignoto che ci aspetta è quanto di più straordinario ed eccitante possa esistere nonostante la routine quotidiana.
Grazie alle cose che rendono la nostra esistenza speciale possiamo guardare al passato con fierezza. Affrontandolo, può avvenire la nostra rinascita.
