Incontro con Daniel Zaccaro

Una lezione al di là dell’aula –

• di Maddalena Benzoni

 «Non tutte le crisi vengono per spezzarci o farci fermare, ma ci aprono a un tempo opportuno» – Daniel Zaccaro

Giovedì 6 Marzo gli studenti liceali dell’Istituto Candia-Frassati hanno avuto un’opportunità speciale: ascoltare la testimonianza di Daniel Zaccaro, ex detenuto e ora educatore presso la comunità Kayros.

A darci il benvenuto non è stato Daniel, bensì una canzone della band americana Arcade Fire. Wake Up è un brano del 2006 che recita: “ragazzi, svegliatevi, tenete alti i vostri errori prima che riducano l’estate in polvere”.

Il testo riassume perfettamente il messaggio lanciatoci da Daniel, ovvero che i fallimenti fanno crescere. Bisogna accogliere l’errore, imparare la lezione e mettere in pratica un progetto. In questo il kayros momento opportuno, giusto è nostro amico. Infatti è proprio da questa antica parola greca che il progetto di Don Claudio prende il nome.

 

Daniel ci ha rapiti fin da subito parlando di sé. L’amore per il calcio, che lui definisce come più grande passione e malattia, riempie completamente la sua infanzia. Non si tratta però di un semplice divertimento, ma di una cosa seria (forse fin troppo per quell’età).

«Soffrivo le aspettative e i giudizi. Quando sbagliavo ero molto duro con me stesso».

Il sogno calcistico muore quando viene scartato dalla sua squadra e ciò segna un punto di rottura. «Ho incominciato a credere che non ero nessuno, che non ero niente, e questo vuoto me lo sono portato dentro». La totale perdita della stima di sé arriva quando è meno opportuno: l’inizio dell’adolescenza.

Come Daniel stesso dice, si tratta del periodo della crisi d’identità, dove si naviga nell’incertezza.

È proprio in questo momento che i suoi sentimenti negativi si concretizzano e trovano sfogo nella trasgressione e nell’allontanamento dalla famiglia. L’ambiente in cui vive, la periferia milanese, non è sicuramente stimolante per un inversione di tendenza. «A Quarto Oggiaro vige la legge del più forte. Volevo essere qualcuno, volevo essere come loro, volevo il rispetto». Così, influenzato dalla mentalità tossica del quartiere, cerca di trovare un’identità commettendo piccoli reati, fino alle rapine in banca.

Insieme al suo compagno si sentiva soddisfatto. «Finalmente la gente ci guardava, ci sentivamo qualcuno». Ed è proprio in questo “sentirsi qualcuno” che Daniel crede di aver trovato un’identità.

 

Il carcere arriva due giorni prima dei suoi 18 anni. Daniel si trova al Beccaria. Gli educatori non sembrano capire come un ragazzo tanto sveglio possa trovarsi dietro le sbarre. Lui stesso si descrive come tale: «a scuola mi accendevo quando un argomento sollecitava il mio interesse».

Il carcere però non lo opprime anzi, sente che il suo compimento come criminale si sta realizzando. Così, per i tre anni successivi gira l’Italia fra vari penitenziari minorili, finché a Bari qualcosa nella sua mente si risveglia. «Stavo soffrendo, ero solo, tutto quel dolore mi ha fatto sorgere delle domande. È questa la vita che voglio davvero a 19 anni? Perché sto così male? Avevo toccato il fondo».

Tornato a Milano si presenta l’invito di Don Claudio e l’opportunità della comunità dove Daniel capisce la libertà e responsabilità su cui conta Kayros. «La comunità punta sulla tua maturità e intelligenza, devi decidere tu per te stesso non perché è giusto o sbagliato ma perché lo senti vero».

Dopo due mesi di libertà viene nuovamente arrestato. Stavolta è San Vittore che lo aspetta: tutt’altro mondo. Qui Daniel sogna, pensa, riflette e la depressione prende il sopravvento. «Non avevo un progetto, avevo solo imparato la lezione ma non l’avevo messa in pratica».

 

Iscrivendosi ad un corso di cineforum pur di non stare in cella, Daniel incontra Fiorella, professoressa del laboratorio, che gli dona uno spunto interessante. Gli dice che lo studio e il sapere avrebbero potuto liberarlo. Così Daniel cambia gli occhiali con cui vede la vita. Perché le cose sono sempre le stesse, ma possono trasformarsi radicalmente cambiando lenti.

Meditando a lungo, muta la sua visione. «Leggevo, mi perdevo in libri che non volevo finissero, mi arricchiva, sentivo di imparare qualcosa».

La magia gratificante del sapere in qualche modo lo salva. Tornato libero, in un anno termina gli studi superiori e si iscrive all’università Cattolica di Milano. Grazie ad una borsa di studio riesce a conseguire una laurea in scienze dell’educazione.

Non ha scelto un ruolo, ma uno scopo. Diventa educatore presso la comunità che tempo prima lo aveva accolto, Kayros, coronando così il suo percorso di cambiamento.

 

Daniel però chiama il “cambiamento” con un altro nome: trasformazione. Mentre il primo è radicale e repentino, l’evoluzione e il compimento di sé sono processi lunghi che richiedono tempo, volontà e fiducia. «Lo devi volere perché prima ti sei riconosciuto volenteroso».

Daniel ci ha parlato davvero, non da educatore, non da adulto, ma da pari. Ha condiviso pensieri di immenso valore. Non a caso è stato l’incontro che più ha colpito noi studenti.

Non ha semplicemente raccontato la sua storia, ma fatto capire che gli sbagli sono necessari. Che il dolore, le domande complicate, la sofferenza, il non sapere chi sei devono pervaderti prima che tu possa conoscere il mondo e te stesso.

Come Socrate, grazie al suo “conosci te stesso”, anche Daniel ci ha invitato a riflettere su uno degli interrogativi più grandi per noi adolescenti. Chi sono io e qual è il mio scopo?

Nessuno di noi è tornato a casa con un risposta. Tutto ciò che abbiamo è solo tanta fame di scoprirlo. In questo senso il kayros sarà nostro amico.

Alla domanda “che consiglio daresti al te sedicenne?” Daniel risponde: «Non lo so, forse era giusto che la mia strada fosse quella, nessuno ti salva, ma non ti salvi nemmeno da solo, ci si salva insieme».

Perché alla fine nella salvezza reciproca risiede la chiave della trasformazione. Nella fiducia in noi stessi e negli altri.